18 dic 2014

Torta di Nocciole al Cioccolato con Arancia Caramellata




Anche questa settimana, per un insolito dessert natalizio, un po’ sopra le righe della tradizione strettamente legata a questa festività, ho pensato di frugare tra le ricette, invece, regionali, con una declinazione piuttosto insolita della classica torta di nocciole piemontese, arricchita però da cioccolato e arance. Un’aggiunta che al gusto non si percepisce distintamente, ma che ha la funzione di regalare a questo soffice dessert una morbidezza e una freschezza ancora maggiori.
Quando ero bambina la mia mamma mi preparava la torta di noci nelle occasioni speciali, non perché non mi ritenesse degna di realizzazioni più elaborate, ma perché creme, glassature e pasticci vari non mi sono mai piaciuti un granché. Ho sempre preferito i dolci umidi e un po’ granulosi e le noci erano perfette.



Solo più tardi ho scoperto che la ricetta originale prevede le nocciole (devo dire che continuo a preferirla con le noci).
Questa versione è ripresa non dalla ricetta della mia mamma, ma da quella presente su Sale&Pepe di Dicembre, nella rubrica “Natale in baita” (o in chalet, non ricordo), l’aggiunta delle arance sulla superficie, invece, è una mia idea, perché adoro come caramellizzano in forno, una volta che le hai cosparse di zucchero.



Ingredienti:
250 gr di nocciole (Eurocompany)
200 gr di stevia (Stevida)
6 uova
2 arance
2 cucchiai di zucchero di canna



Procedimento:
Tosta le nocciole in una padella senza grassi, finché non saranno colorite, ma senza farle brunire troppo, e polverizzale al mixer.
Trita anche il cioccolato al latte.
Mescola le nocciole e il cioccolato con la stevia. Separa i tuorli dell’uovo dagli albumi e amalgama i primi alle polveri. Frulla l’arancia e uniscila al composto. A parte, monta gli albumi a neve ben ferma e incorporali ad esso con delicatezza.
Versa in uno stampo da 26 cm di diametro e inforna a 180°. Nel frattempo pela anche l’altra arancia e affettala (o tagliala a spicchi). Non appena la superficie della torta sarà rassodata, estraila dal forno, disponi sopra garbatamente l’arancia e cospargila con lo zucchero di canna.

Distribuiscilo bene con l’aiuto di un pennello e metti nuovamente in forno, fino a cottura ultimata della base (in tutto occorreranno circa 20 minuti).


17 dic 2014

Choucroute in crosta croccante di Patata Dolce con Mirtilli, Mela e Salsicce


La prima volta che ho assaggiato la choucroute, la padellata di carne di maiale e crauti tipica dell’Europa settentrionale, mi trovavo sulla sommità del Grand Ballon, in un rifugio avvolto in una nebbia fittissima, con un tempo infernale, malgrado la stagione.
Al tavolo accanto al mio sedeva un ridente gruppo di autoctoni, che parlava un allegro dialetto in cui l’accento aspro della RouteduVin si intrecciava con il tedesco del Palatinato, con qualche sdrucciolone nell’ebrezza molesta, e, malgrado il mio francese, a detta di tutti, sia fortemente improntato dalla cadenza alsaziana, non riuscivo a capire una parola.
L’unica cosa sulla quale non avevo dubbi era che stessero mangiando qualcosa di buonissimo (e bevendo qualcosa di tossico), che somigliava molto a certi taglieri delle nostre Dolomiti. Normalmente non mangio molto a pranzo, ma come resistere a un tegame di choucroute fatta con tutti i crismi, con le salsicce, i lardons e tutti quei crauti stufati a lungo nell’aceto, che emanava un profumo da svenire?


Nei miei gusti in fatto di verdure sono molto nordica.


Dopo questo pasto pantagruelico, non fosse altro che per far calare tutta quella roba un filo sotto il duodeno e risparmiarmi una colite ulcerosa, mi spinsi nella bruma di cui sopra, su per un sentiero bordato di cespugli bassi, tra i quali occhieggiavano tante piccole gemme blu.
Mirtilli. Più di quanti ne abbia mai visti nelle mie passeggiate sull’appennino, quando parto “di proposito” per cercarli. Molto più grandi e molto più succosi.
A distanza di anni, ho ripensato a come questa successione temporale di maltempo, carne di maiale, verze agrodolci, laghi montani e frutti di bosco mi procuri, nel ricordo, tanto struggimento. Non è successo niente di speciale quel giorno, eppure penso sia stato uno dei più sereni della mia vita.

Questa è la mia choucroute, non assolutamente canonica, perché avevo solo salsicce, la volevo addolcire con un po’ di frutta e perché è avvolta in una crosta croccante di patate “color zucca”.


E’buonissima, molto semplice da preparare e si sposa perfettamente con un Lagrein Riserva altoatesino, il Puntay 2011 Erste Neue, un vino che mi ha saputo regalare una grande emozione in termini olfattivi: contrariamente al solito, anziché essere investita dagli aromi primari di frutti rossi, le prime sensazioni che ho percepito si legavano a un gradevole sentore affumicato, con una speziatura balsamica, un profumo che, posso dirlo?, mi ha ricordato lo speck. Solo in seguito, via via che, a contatto con l’ossigeno, si apriva, ho percepito legna, sottobosco e infine un’esplosione di more fresche.

Al gusto è asciutto, con un tannino reso vigoroso dall’affinamento in legno, ma contenuto nel rispetto delle caratteristiche varietali, che sostiene meravigliosamente la salsiccia, senza stridere troppo con l’agrodolce dei crauti al naturale, che, proprio per permettermi l’accostamento con un grande rosso, avevo stemperato con la mela.


Ingredienti:
  • una presa di bacche di ginepro
  • una presa di semi di finocchio (Melandri Gaudenzio)
  • due prese di kummel
  • 800 gr di salsicce miste (toscane, classiche, luganega, calabresi)
  • un filo d’olio extravergine di oliva
  • un bicchierino generoso di grappa invecchiata (La Gold Roner)
  • una piccola cipolla rossa
  • una mela
  • una latta di crauti al naturale Zuccato
  • due vasetti di crema di cipolle e mele verdi (Duca Carlo Guarini)
  • sale
  • una patata dolce
  • una manciata abbondante di mirtilli



Procedimento:
Pesta nel mortaio il ginepro, il finocchio e la metà del kummel.
Taglia le salsicce a tocchetti e falle rosolare con le spezie e un po’ d’olio finché non saranno leggermente brunite. Sfuma con la grappa, alza la fiamma per far evaporare l’alcool, toglile dalla cocotte e mettile da parte.
Monda la cipolla e la mela, tagliale a fettine sottili e falle stufare nella stessa casseruola, senza aggiungere altri grassi. Quando saranno morbide, unisci i crauti al naturale e la mostarda, aggiusta di sale, versa una tazza d’acqua e lascia sobbollire una mezz’ora, coperto.
Nel frattempo, pela la patata e, con l’aiuto di una mandolina, tagliala in sfoglie sottili.
A cottura completata dei crauti al naturale, fai addensare un po’ a fiamma alta, se è il caso, aggiungi i mirtilli e trasferisci tutto in una teglia da forno a bordi alti.
Disponi sopra le salsicce, ricopri tutta la superficie con le scaglie di patata, cospargile di kummel e inforna a 180° per 45’.

16 dic 2014

Gratin "Senza" di Garganelli al Ragù di Mortadella


Il ragù di mia madre è insuperabile. Non lo dico per dire, quando sento affermare qualcosa del genere da qualcun altro a proposito della sua mi parte un tic all’angolo della bocca, che mi regala un’espressione sardonica.

So che ciascuno di noi è legato ai propri ricordi infantili, ma nella mia dichiarazione non c’è alcun carico emotivo, ho superato abbondantemente la fase edipica e riconosco l’assoluta non-deità dei miei genitori, so che hanno un sacco di difetti, che hanno fatto un sacco di errori, che sono esseri umani e che nel detto “la mamma è sempre la mamma” c’è un 10% di verità (biologica) e un 90% di luoghi comuni.

La mia, per esempio, insiste a non mettere le uova nelle quiches, “perché così sono più leggere”, con il risultato che le sue torte salate hanno la consistenza delle paludi, e non fa tirare a sufficienza gli spezzatini, ha un’insana tendenza a descrivermi minuziosamente le disgrazie di tutto il vicinato e a considerare lo zenzero e il cardamomo la panacea di tutti i mali, cancro e licenziamenti senza giusta causa compresi, inoltre sia lei che mio padre, quando si tratta di scegliere il vino, diventano ebeti.

Però il ragù di mia madre è imbattibile. In quello di mia nonna le verdure erano dadolate troppo grossolanamente, la mia nonna paterna non lo faceva affatto, quello di mia suocera è brodoso, quello della mia prozia di Catanzaro era peperoncino cotto nella conserva, quello del ristorante è untuoso, quello della mia amica manca di spezie e comunque rimane il fatto che nel ragù ci va il concentrato di pomodoro, non la passata. Punto.

Ritengo di poter ragionevolmente sostenere di aver ereditato il tocco, come quello per le confetture, anche se manco decisamente di pratica, ma, in compenso, mi gioco la carta della fantasia: con la ricetta base ho creato innumerevoli varianti, semplicemente sostituendo i 500 gr di macinato misto dell’originale con seitan, salsiccia, speck, lenticchie, tonno, cinghiale, verdure, funghi e sono abbastanza sicura di averle proposte tutte sul blog facendo semplicemente dei copia e incolla e sostituendo solo l’ingrediente base.
Questa è la volta della mortadella ed è finito sui garganelli all’uovo, per un gratin di pasta che fa tanto Natale, anche per chi è intollerante al lattosio e ogni anno si sfinisce davanti alla lasagna nappata di besciamella e filante di parmigiano.
Io, per fortuna, non soffro di questo problema in forma patologica, ma mi è stato consigliato di limitare temporaneamente i latticini vaccini freschi (i formaggi stagionati e quelli caprini sono quasi del tutto privi di lattosio, quindi posso mangiarli) e, come la scorsa settimana per il menu vegetariano, sto facendo qualche esperimento.

Sul vino no, sul vino per la pasta con il ragù non si fanno esperimenti: soya a parte, questa ricetta parla di Emilia Romagna sotto ogni angolazione, quindi Salamino in blend con Ancellotta, per l’Assolo Reggiano di Medici Ermete, storica cantina reggiana che ha tirato a lustro il nome del Lambrusco, spesso svilito da versioni amabili ruffiane, riportando in auge la sua declinazione originale, quella in secco. L’Assolo è un vero paniere di frutta rossa matura, una caratteristica esaltata nella composizione ampelografica dalla prevalenza di Ancellotta, tipico taglio del Lambrusco, qui presente, invece, in percentuale molto alta.

Malgrado questo primo accordo, che sembrerebbe preludere a un vino quantomeno abboccato, il gusto è asciutto e risoluto, anche grazie alla bollicina naturale, che ne esalta l'acidità, con un finale lungo e armonioso. 

Ingredienti:


Procedimento:

Trita finemente la mortadella e mettila da parte.

Pesta le bacche di ginepro, i semi di finocchio e il chiodo di garofano nel mortaio.

In una pentola di coccio o di ghisa scalda l’olio, aggiungi le spezie e il misto per soffritto e falli rosolare. Aggiungi la mortadella e lasciala insaporire per un paio di minuti, sfuma con il vino e alza la fiamma per far evaporare l’alcool.

Unisci il concentrato di pomodoro, lo zucchero, il sale, due tazze d’acqua e riporta a ebollizione. Copri e cuoci a fiamma bassa per una mezz’ora, mescolando di tanto in tanto. Appena il sugo raggiungerà il classico colore granata, spegni la fiamma, avendo cura di lasciarlo un po’ lento e amalgama la crema di soya.

Grattugia il formaggio.

Lessa la pasta come da istruzioni sulla confezione, scolala al dente e condiscila con il ragù.

Disponine un primo strato sul fondo di una pirofila, cospargila di formaggio, sormonta con altra pasta e così via fino a esaurimento degli ingredienti. Completa con un’ultima, generosa spolverata di formaggio in superficie.


Inforna a 180° per ½ ora, finché la superficie non sarà ben gratinata.

15 dic 2014

Thumbprints al Provolone e Olio di Oliva con Pesto di Basilico e Pomodori Secchi



Come non innamorarsi di una mignardise salata che riunisce pesto e pomodori secchi? Roba che mangerei pescandola direttamente dal barattolo.
Per questi appetitosi (e non proprio leggerissimi) stuzzichi mi sono lasciata ispirare da una ricetta della deliziosa Katie di “What Katie Ate”, che compare anche nell’omonimo cooking book e a cui ho fatto la posta per lungo tempo. Katie, in realtà, propone dei sablées, ma, avendo sostituito i suoi 200 gr di burro con l’olio di oliva, l’impasto che ho ottenuto non era così facilmente lavorabile. Ho optato, quindi, per i thumprints, molto più rapidi e meno sporchevoli, che avevo già preparato in versione dolce. Il risultato è più interessante, sia per gusto sia per consistenza, l’olio extravergine mantiene i cookies friabili e regala loro un gusto mediterraneo, in linea con gli altri ingredienti.


Personalmente li ho spolverati accucciata sul divano, davanti a uno dei film fantascientifico/distopici di cui mi sto drogando ultimamente, ma credo che possano rientrare a pieno titolo tra gli antipasti di un menu natalizio, ovviamente accompagnati da una bollicina di buona struttura, un Franciacorta Metodo Classico Millesimato 2007, il Berlucchi Vintage, realizzato a partire da una cuvée di Chardonnay e Pinot Noir in parte passati in barriques. Dopo l’aggiunta del liquer de tirage, lo spumante riposa lungamente sui lieviti, una pratica che lo fregia di una particolare complessità, sia all’olfatto che al gusto: il caratteristico profumo di crosta di pane si intreccia con sentori mielati di frutta gialla candita ed essiccata, mentre al palato freschezza e sapidità se la giocano alla pari con la morbidezza, sottolineata dalla finezza spumosa del pérlage.



Ingredienti:
un cucchiaio di erbe di Provenza (Cannamela)
una macinata di pepe
sale
olio extravergine di oliva bio (Intini) qb (un bicchiere scarso)
una quindicina di pomodori secchi Zuccato

Procedimento:
Grattugia il provolone e mescolalo con la farina, le erbe, il sale e il pepe. Versa a filo l’olio sufficiente ad ottenere un composto morbido, ma lavorabile. Riponilo in frigo per circa un’ora, quindi ricavane delle piccole sfere (dovresti ottenerne una quarantina/quarantacinque) e disponile su due placche da forno foderate di carta speciale.  Imprimi su ciascuna una fossetta, utilizzando il pollice e cola all’interno un velo di pesto. Questa operazione serve ad evitare che, in cottura, la fossetta si gonfi.
Inforna a 180° per 20’. Nel frattempo taglia i pomodori secchi a dadini.

Quando i thumprints saranno pronti, sfornali e lasciali raffreddare. Riempi le cavità con il pesto rimanente e guarnisci con i pomodori secchi


11 dic 2014

Arrosto di Frutta, Funghi e Pomodori Secchi



Chi ha detto che l’arrosto di Natale dev’essere per forza a base di carne? Vi propongo infatti il mio Arrosto di Frutta Secca e pomodori secchi. Con gli anni, via via che la fede vegetariana dei miei zii si faceva più ferma e io scivolavo verso l’onnivorismo consapevole, laddove consapevolezza significa trovare inaccettabile un menu composto, con l’eccezione del dolce, da cinque portate carnivore, la mia curiosità nei confronti di preparazioni alternative e insolite è cresciuta, dotandomi di un bagaglio di conoscenze certo non ampio come quelle dei vegan osservanti, ma comunque più vasto della maggior parte delle persone, che risolvono l’eterno dilemma della “cena al volo” con la fettina ai ferri o la carbonara e santificano le feste con le portate della tradizione.
Non c’è polemica in quello che scrivo, al contrario, penso che i menu che sanno di antico siano incredibilmente rassicuranti e assolutamente da rispettare nelle grandi occasioni, a meno che, come nel caso della mia famiglia, non ci siano limitazioni di tipo etico o salutistico, ma nella vita di tutti i giorni, secondo me, sarebbe utile cercare altre fonti di proteine e impratichirsi con preparazioni nuove, non fosse altro per conoscere meglio la vastissima gamma di proposte che oggi il mercato mette a disposizione e aprire le porte a combinazioni insolite, scoprendo che possono essere ugualmente gustose.
L’arrosto vegetariano di Jamie è stato il mio principio ispiratore per questa ricetta, deliziosa appena sfornata e filante di formaggio, ma ottima anche fredda, quando le spezie hanno rilasciato tutta l’intensità dei loro profumi.



Proprio per rendere omaggio a questa esplosione di aromi, trovo interessante l’accostamento di questa terrina vegetariana con un grande vitigno dello stile bordolese, un Cabernet Sauvignon, coltivato, però, grazie alla sua incredibile adattabilità alla diversità dei climi, dalla Cantina Settesoli sotto la carezza del sole siciliano, esprimendo al meglio le peculiarità legate al terroir: i profumi di frutti rossi, tipicamente ribes, e quelli speziati si arricchiscono di venature più calde, sfumando quella nota vegetale tipica dei climi che richiedono una vendemmia anticipata, che spesso genera dei Cabernet scomposti; il tannino originariamente vigoroso, si ammorbidisce grazie alla discreta alcolicità, rendendo questo vino più duttile agli abbinamenti meno maestosi di quello classico a base di cacciagione.

Ingredienti:





Procedimento
Taglia i funghi a listarelle, aiutandoti con un paio di forbici, e coprili con acqua bollente finché non si saranno ammorbiditi.
Affetta finemente la cipolla e lasciala dorare nell’olio per una quindicina di minuti. Nel frattempo, scola i funghi, sciacquali delicatamente per eliminare eventuali residui di terra e saltali nella cipolla imbiondita. Come con tutti gli ingredienti ricchi di acqua, la cottura dev’essere rapida ed effettuata a fiamma vivace, per non disperdere gli aromi e i succhi del fungo. Fuori dal fuoco, cospargi con il coriandolo.
Scalda 100 ml di acqua bollente e versala sul couscous. Copri e lascia gonfiare per 10 minuti.
Tosta gli anacardi in una padella senza aggiunta di grassi e tritali, insieme al pane raffermo.
Dadola la caciotta e taglia i pomodori secchi a filetti.
Raccogli in una grande ciotola i funghi, il couscous, il trito di frutta secca e pane, il formaggio, i pomodori secchi, la miscela di spezie, unisci le uova (secondo la dimensione, potrebbero bastarne anche 4 o 5, le mie erano medie) e aggiusta di sale. Mescola il tutto per ottenere un composto omogeneo e sistemalo in uno stampo da plum cake foderato di carta speciale.

Preriscalda il forno a 180° e cuoci per 45, finché la superficie dello sformato non sarà dorata. 

10 dic 2014

Crema di Mungo al The Verde



L’idea era di realizzare una vellutata intensamente verde, disgraziatamente i mungo, in cottura, perdono il loro colore brillante e smuoiono in un anonima tinta militaresca che mi appiattisce un po’ gli scatti, che, pure, avevo realizzato con una luce non bella, non facile, ma interessante.
La sostituzione di una parte del brodo con il the verde viene da Simona, che qui propone diverse zuppe in cui the e infusi vanno a braccetto con gli ortaggi, creando suggestive sinfonie di profumi e sapori. Occorre prestare un po’ di attenzione agli abbinamenti, perché il the potrebbe esaltare la nota amaricante di alcune verdure, in questo caso è meglio utilizzare profumate tisane alle erbe, mentre su quelle neutre, il gusto acidulo del the verde e i tannini del the nero sono ideali per smorzare la naturale dolcezza della preparazione con un tocco fresco.



Diciamo che è un po’ lo stesso discorso che vale per il vino: dopo tanto cogitare, in abbinamento alla mia crema, che considero piuttosto raffinata, ti propongo un Soave Classico DOC della Casa Vinicola Sartori, una punta di diamante della tradizione vinicola veneta, a base garganega, un vitigno caratterizzato, dopo l'esplosione iniziale di bergamotto,da un’impronta olfattiva, delicatamente fiorita, e da una freschezza non preponderante, ma molto armoniosa, e, soprattutto da un finale ammandorlato che, a mio giudizio, lo rende particolarmente appropriato su piatti a tendenza cremosa, come, appunto, vellutate o risotti, ma anche in presenza di salse non troppo aromatiche.



Ingredienti:



Procedimento:
Il giorno prima metti in ammollo i fagioli.
All’indomani, prepara il the, infondendo una bustina in una tazza di acqua calda per 20 minuti.
Nel frattempo affetta finemente la cipolla e falla imbiondire nell’olio di oliva. Unisci i fagioli, il the, il dashi e altra acqua sufficiente a coprire di almeno 3 dita.
Porta a ebollizione, copri e cuoci per 40 minuti (20 se utilizzi la pentola a pressione).
Trasferisci la zuppa nel boccale del frullatore a immersione e passala per ottenere una crema.
Riporta nuovamente a ebollizione e porta subito in tavola. Se prepari questa vellutata in anticipo, tieni presente che i mungo, come le fave, tendono ad assorbire molti liquidi, quindi, prima di riscaldarla per portarla in tavola, aggiungi una tazza d’acqua.


9 dic 2014

Millefoglie di Polenta Filante alla Zucca con Crema di Crescenza al Tartufo


Metti di avere un fondo di una busta di polenta, una manciata di riso e una mezza fetta di zucca. Metti di esserti imposta di non aprire altri barattoli/confezioni/sacchetti fino a quando non avrai fatto fuori tutti quelli in pending da almeno tre mesi.
Metti di infilare tutto in una pentola e far bollire a caso e di ottenere, altrettanto per caso, una sorta di passatina delicata, ma molto piacevole, che ti fa balenare in testa un’idea per manipolare gli avanzi (e questa polentina è proprio tanto saziante, quindi stai sicura che ce ne saranno) in formato posh.
Ecco, tutto questo per Natale non accadrà, perché, come tutti, avrai pianificato il menu, avrai fatto la spesa di conseguenza e il problema degli avanzi da far fuori si porrà più dopo che prima. Quindi, magari, preparerai delle sfoglie o dei sablés alla caciotta comme il faut e non terrai presente che il tartufo nasce come implementazione del riso, della polenta e della zucca.



Spero almeno, in qualsiasi versione tu decida di predisporre questo bizzarro “tiramisù salato, che gli renderai omaggio con un Metodo Classico degno di lui e dell’occasione festosa per cui te lo propongo: io ho scelto un Satèn Franciacorta ‘61 Berlucchi, che potremmo definire l’equivalente nostrano del Crémant d’Alsace, un Blanc de Blanc da Chardonnay al 100%, caratterizzato da un perlage finissimo che dà origine a una spuma ariosa (da qui la sua definizione “setosa”), che asseconda la cremosità della mousse di crescenza. All’olfatto regala inizialmente suggestioni di frutta tropicale molto matura, ma poi le sensazioni zuccherine prevalgono evolvendosi verso quella candita e passita. In bocca, però, è un Brut a tutti gli effetti, fresco quel che basta a bilanciare la tendenza dolce delle sfoglie e sorprendentemente solido per sostenerne la compattezza, con una mineralità inaspettata che duetta con il profumo intenso del tartufo.



Ingredienti:
  • 50 gr di riso
  • 50 gr di polenta bramata
  • 100 gr di zucca a cubotti
  • sale
  • pepe
  • 100 gr di Caciotta del Sole (Caseificio Spadi) a dadini
  • 200 gr di crescenza di capra (Mauri)
  • olio al tartufo qb
  • scaglie di tartufo per decorare


Procedimento:
Metti a bollire un litro d’acqua, versaci la polenta stemperandola con una frusta, unisci il riso, la zucca, un pizzico di sale, una macinata di pepe e fai cuocere per un’ora, mescolando sempre. Fuori dal fuoco aggiungi la caciotta. Versa il composto in una teglia rettangolare da 20x30 foderata di carta forno e riportala a temperatura ambiente perché “solidifichi”.
Preriscalda il forno a 180° e cuoci per circa mezz’ora.
Quando sarà raffreddata, rifila i bordi e ricava dalla base così ottenuta 12 rettangoli uguali.

Lavora la crescenza con l’olio al tartufo e un pizzico di sale, trasferiscila in una sac à poche munita di bocchetta a stella e distribuiscila in “ciuffetti” sulle sfoglie di polenta. Montale in “torrette” e cospargi la superficie con le scaglie di tartufo.

5 dic 2014

Panforte al Cacao con Cranberries, Anice e Miele di Castagno




Il panforte, insieme ai ricciarelli, è il dolce natalizio che preferisco.
Mi ricorda certi pomeriggi giovanili trascorsi a Siena, seduta per terra a guardare bambini e cani rincorrersi pazzi di gioia con l’equilibrio e la prospettiva falsati dalla singolare forma a conchiglia di Piazza del Campo. Scendeva la sera e ci rifugiavamo da Nannini, per una cioccolata calda e una fetta ipercalorica di Panforte o di Torta di Cecco, sentendoci, per una volta, molto eleganti e ricercati, dopo tanti locali a buon mercato e cibo da asporto.
 Giulia  ha raccontato magnificamente la tradizione pasticcera senese qualche anno fa, nel post da cui ho tratto la ricetta, anche se non ho resistito alla prospettiva di apportare qualche modifica tutta mia, per avvicinarlo un po’ al panpepato con l’aggiunta del cacao e ai cavallucci, con un sottile profumo di anice, e l’aroma carnale del miele di castagno, una pianta che affonda le sue radici nelle profondità del terreno dei boschi toscani e che per secoli ha influenzato anche la nostra tradizione vinicola. Anche l’uso della farina di farro, tanto caro alla nostra cucina regionale, fa parte di questa rivisitazione del panforte classico, che ha raccolto un consenso plebiscitario inaspettato, mentre i cranberries sono il tocco cosmopolita che secondo me un po’ mancava e che ci sta benissimo.
Contrariamente a quello che si pensa il procedimento è semplicissimo, a scoraggiare un po’ è la lista degli ingredienti, sicuramente non economici, ma per Natale si può fare uno strappo, in barba alla crisi, soprattutto perché con queste dosi otterrai, come spiegato sotto, un panforte tradizionale o due più sottili, più simili a quelli che si trovano in vendita, ma non è certo uno di quei dessert che spariscono in un pomeriggio o che si conserva con difficoltà.




Ingredienti:


Procedimento:
Innanzitutto tosta le mandorle, preferibilmente nel forno, in modo da poterle stendere in un solo strato e dorarle uniformemente senza farle bruciare.
Mescolale in una grande ciotola con i canditi, i cranberries, la farina, il cacao e le spezie.
Metti sul fuoco in una casseruola a fondo spesso lo zucchero, il miele e l’acqua e porta a ebollizione. Cuoci fino a completo scioglimento dello zucchero e versa sul composto precedente, mescolando energicamente perché tutta la frutta sia rivestita dallo sciroppo e la farina si amalgami.
Trasferisci in uno stampo a cerniera di 18 cm di diametro, se desideri un panforte bello alto, come da tradizione artigianale o suddividilo in due, se preferisci qualcosa di più gestibilmente porzionabile ( ;-) ) e inforna a 180° per 25 minuti (un po’ meno se hai usato due stampi).  Appena possibile, elimina i laterali della tortiera per evitare che lo zucchero, raffreddando, caramelli e ne impedisca la rimozione.

Appena freddo, spolvera ancora generosamente con il cacao. 


4 dic 2014

Crostata di Farro e Orzo con Salsa Butterscotch allo Yogurt e Noci di Pecan Caramellate


Da un’email inviata a un’amica lontana qualche giorno fa:

“Più faccio pulizia e più trovo persone da eliminare… guardandomi indietro, mi sembra che un po' tutti i miei legami si basassero sulla mia accondiscendenza e che, nel momento in cui ho cominciato a prendere posizione, a nessuno interessi più la vera "Serena", quella con un po' di carattere... forse, cercavano tutti una spalla, un gregario che li spingesse avanti.”



O ero io a cercare kapo che mi lasciassero un ruolo marginale, di cui non assumermi la responsabilità?


La psicoanalisi classica propenderebbe per questa seconda ipotesi, ma non si potrebbe semplicemente riassumere il problema nell’esubero di persone disturbate libere di vagare per le strade e rovinare la vita della gente per bene?

Sempre più spesso mi sorprendo ad isolarmi, non con rancore o superbia, ma con la netta percezione di una mia inadeguatezza, che non è inferiorità né superiorità, ma un gap tanto profondo rispetto agli altri da farmi pensare non solo a codici di comunicazione diversi, ma all’appartenenza a specie differenti, tanto inconciliabile è il modo di sentire.
Mi riavvicino non con al prossimo, ma a me stessa e alla mia natura irrigidita dalla troppa malleabilità del passato, con un dessert di quelli sfacciatamente dolci, che sanno di toffee nelle scatole di latta decorate e di bonbons fatti in casa, colando il caramello in uno stampo e frantumandolo, di orzo solubile sciolto nel latte caldo, di yogurt fatto nella yogurtiera che sta lì da 30 anni e di quelle cose che mi riportano all’infanzia,là, dove tutto ebbe inizio.

Ingredienti per la brisée:


Ingredienti per la salsa butterscotch:


Ingredienti per le noci pecan caramellate:


Procedimento:
Mescola nel boccale del mixer gli ingredienti in polvere, unisci il burro freddo a cubotti e impasta per formare delle briciole.
Rovesciale in una teglia da crostata e premile delicatamente con la punta delle dita per rivestire il fondo e i laterali. Fodera l’interno della base con un foglio di carta forno, riempilo di fagioli secchi o riso e riponi in frigo. Preriscalda il forno a 180° e cuoci la crostata in bianco per 10 minuti. Elimina i fagioli e la carta forno, prosegui la cottura per altri 5 minuti e sforna.
Prepara la salsa: in una casseruola antiaderente versa i due zuccheri e falli caramellare a fiamma bassa, senza mescolare. Fuori dal fuoco, unisci il burro e lo yogurt, mescola bene e rimetti sul gas finché lo zucchero non si sarà sciolto e non si sarà formata una crema dall’intenso color nocciola. Versala nell’incavo della crostata e lascia raffreddare.
Nel frattempo, tosta le noci brevemente sul fornello e stendile in uno strato su un foglio di carta forno.

Caramella il resto dello zucchero e colalo sulle noci. Quando il croccante sarà freddo, spezzettalo grossolanamente con le mani e distribuiscilo sulla salsa butterscotch. 


3 dic 2014

Chili con Pescado


Anche questa ricetta nasce per caso, stavolta non per un imprevisto, ma per una mia sbadataggine: ero assolutamente convinta di aver acquistato delle seppie e, invece, guarda un po’, nella busta della pescheria non ce n’era traccia. Polpo, moscardini, gamberi, salmone… e un pacchetto di pescato misto, di quelli che da noi si usa per fare il cacciucco. Che non ricordavo di aver comprato. O mi sono confusa o hanno sbagliato al banco, non importa: procedendo un po’ per folgorazioni istantanee e sequenziali, ho creato qualcosa di più interessante delle solite seppie ripiene, che finisco per farcire sempre nello stesso modo, ispirandomi alla ricetta del chili con carne e sostituendo quest’ultima con il pesce.
Ovviamente, trattandosi di un escamotage di emergenza, non avevo ammollato i fagioli e, dato che difficilmente tengo in casa quelli in barattolo, li ho omessi, ma il piatto è già di per sé molto proteico. Casomai ci cadrebbero a pennello dei nachos o, avendo un po’ di tempo, dei crostoni di polenta, grigliati o fritti e giuro che l’idea di partenza c’era, ma il tempo no, quindi vanno benissimo anche delle fette di pane tostato, con buona pace della dieta.

Vista la presenza del pomodoro e di una speziatura generosa, ho pensato a un rosato particolare, da uve Shyraz coltivate nella generosa DOC Menfi, in provincia di Agrigento, e vinificate, appunto, in rosé, delle Cantine Settesoli. Il gradevole color aragosta anticipa in qualche modo l’intensa mineralità del profumo, la prima cosa che colpisce l’olfatto, per poi ammorbidirsi in note più leziose di rosa e frutti rossi, con qualche nota delicata di spezie, che deriva dall’uvaggio originario. In bocca è asciutto e fresco, con una buona sapidità, bilanciata dalla morbidezza. 


Ingredienti:



Procedimento:

Fodera un colapasta con un tovagliolo pulitissimo. Condisci lo yoghurt con un pizzico di sale e versalo sul tovagliolo. Riponi in frigo, sopra una vaschetta, per raccogliere il siero, per almeno 5-6 ore.

Nel frattempo, metti i gusci dei gamberi in una pentola, coprili con una tazza d’acqua, sala leggermente e fai bollire coperto per circa 40 minuti. Filtra accuratamente il brodetto ottenuto, attraverso un colino a maglie fitte, eventualmente foderando anch’esso con un tovagliolo.

Pulisci il pesce e taglia i pezzi più grossi a tocchetti. Suddividi le varie tipologie: da una parte il salmone, lo smeriglio, la gallinella, insomma, il pescato classico; poi le seppie e i calamari, affettati a rondelle, infine i gamberetti e gli scampi.

Monda e affetta sottilmente la cipolla e falla imbiondire nel’olio e nella pasta d’acciughe. Unisci il primo gruppo di pesce e fallo insaporire brevemente, bagnalo con il vino e alza la fiamma per sfumare l’alcool. Versa il concentrato di pomodoro, le spezie e il brodo e fai sobbollire per 10 minuti. Aggiungi le seppie e i calamari e cuoci ancora a fiamma più vivace per altri 5 minuti. Spegni il gas e butta nell’intingolo ancora bollente i crostacei. Lascia raffreddare completamente, per far ritirare il sugo.

A questo punto, riprendi lo yoghurt dal frigo: vedrai che si sarà molto addensato, raggiungendo la consistenza del formaggio spalmabile.

Distribuiscilo sul fondo di 4 cocottes che possano andare in forno, coprilo con il chili di pesce e adagia sulla superficie le fette di Gran Moravia. 

2 dic 2014

Cous Cous con Moscardini e Ceci in umido



Le mie proposte di mare per i tuoi menu festaioli proseguono con una ricetta nata per caso, ma talmente buona che è stata immediatamente collocata nella mia top ten delle prime portate.
Avevo questo vasetto molto glamour di ceci secchi biologici, che avevo lessato il giorno prima, per poi suddividerli in porzioni, congelarli e averli già pronti da aggiungere a minestroni, condimenti per la pasta e stufati. Non è una cosa che faccio spesso, perché i legumi, una volta scongelati, perdono un po' di compattezza e tendono a disfarsi, ma quando ho per le mani un prodotto di qualità ne approfitto. E ho pensato di usarne una parte per un umido di moscardini.
In realtà voleva essere un secondo per due persone, ma un ospite inatteso mi ha “costretto” a rivederlo aggiungendo il cous cous, per adeguare le quantità e trasformarlo in piatto unico.
Normalmente non sono una che ama le sorprese, ho una nevrosi da ipercontrollo e detesto che le mie pianificazioni ossessive vengano scombinate da imprevisti, neanche se sono piacevoli. Perché l’imprevisto non è piacevole per definizione.
Invece a volte da certi schemi mentali bisogna uscire, soprattutto quando la via di fuga è semplice e rapida come il cous cous, che non necessità di cotture lunghe e sporchevoli e si può aggiungere anche all’ultimo minuto a un menu rivelatosi insufficiente causa improvvisa comparsa di un numero di commensali superiore alle aspettative.
Certo, questo  non accadrà mai in occasione di una festa comandata, le nostre celebrazioni sono lontane da quelle statunitensi, in cui ognuno porta qualcosa, ma spesso anche qualcuno, e alla fine ci si ritrova in 15 anziché in 10 e con 6 dolci e nemmeno un’insalata… quindi meglio ancora, tieniti il jolly del primo piatto volante e dedica più tempo alle altre portate.



Se per l’antipasto sei partita con una bollicina leggera, puoi proseguire allegramente con un metodo classico rosé (rinvio la spiegazione della successione a domani), per me un Cellarius Berlucchi, blend di Pinot Noir, macerato per poche ore sulle bucce (il cosiddetto “rosé di una notte”… quanto trovo affascinante questa definizione!), e Chardonnay, parzialmente barricati e lasciati riposare a lungo sui lieviti, per poi subire un ulteriore periodo di assestamento dopo il dégorgement.
Il colore rosa antico, con venature lilla, e il perlage persistente già suggeriscono l’intensità dei profumi di piccoli frutti rossi freschi, con un fondo acidulo di lievito, che evita lo scivolone nell’ “effetto sorbetto”, tipico di tanti rosé fermi, rendendolo, invece, molto “classy”.  Al palato, la struttura è solida e spiccano la freschezza e la mineralità, senza astringenze tanniche. 

Personalmente l’ho trovato particolarmente appropriato al mio couscous, ma credo che tenterò un abbinamento anche con dei formaggi a crosta fiorita. 


Ingredienti:




Procedimento:
Il giorno prima, metti in ammollo i ceci.
All'indomani, lessali in abbondante acqua, leggermente salata, per circa 45' (20' in pentola a pressione)
Nel frattempo, in una casseruola abbastanza larga, scalda un fondo d’olio con il peperoncino e calaci i moscardini. Copri, abbassa la fiamma e cuoci per 10-12 minuti (a seconda della grandezza dei moscardini), lascia riposare finché non saranno completamente raffreddati e tagliali a tocchetti grossolani, conservando il liquido rilasciato in cottura.

Trita finemente lo scalogno e fallo imbiondire con poco olio e la pasta di acciughe. Aggiungi i moscardini e falli saltare brevemente per insaporirli, sfuma con il vino e, quando l’alcool  sarà evaporato, cospargi con l’insaporitore. Versa i datterini con la loro salsa, il liquido di cottura dei moscardini, i ceci e una mezza tazza d’acqua. Aggiusta di sale, unisci una puntina di zucchero, riporta a ebollizione, copri e fai cuocere per circa venti minuti.

Trascorso questo tempo, togli il coperchio e fai adensare la salsa. Quando sarà cremosa, fuori dal fuoco, aggiungi le olive e l’origano e tieni in caldo.

Fai bollire un bicchiere d’acqua e versalo sul cous cous. Condisci con un goccio d’olio, copri e fai gonfiare per circa 8 minuti.

Servi i moscardini in umido col cous cous a parte, oppure usali per condirlo, come preferisci.