Eccomi qui, reduce dalla verifica di primo livello FISAR (i
risultati a breve… e speriamo mi vogliano bene!!!), a raccontarti, con qualche
giorno di ritardo, dell’edizione invernale del God Save the Wine, una delle più
versatili manifestazioni dedicate al vino che Firenze ospita. A caratterizzare
questo appuntamento e a distinguerlo dalle solite rassegne è la sua
collocazione in contesti suggestivi, nell’ambito di eventi a tutto tondo, che
le permettono di sconfinare oltre i limiti riduttivi delle semplici
degustazioni.
Andrea Gori “sommelier, oste, poeta”, come ama definirsi, è
insuperabile nel creare situazioni memorabili che pongono il variegato mondo enologico
di fronte a sfide sempre nuove: stavolta la mission della serata era avvicinare
il vino al fast food statunitense in una location che si collega alla cultura
musicale, gastronomica e del divertimento anglosassone, l’Hard Rock Cafè.
Una scelta azzardata, forse, in un milieu come quello mediceo,
in cui questo locale ha aperto relativamente di recente, soppiantando lo
storico Bar Gambrinus, tradizionale ritrovo della Firenze “bene”. Ma gli
azzardi pagano e la riuscita della serata ne è la prova: hamburger, canapés e
fish&chips grondanti di ketchup e maionese si succedono sui vassoi a ritmo metropolitano,
mentre i produttori presenti offrono in degustazione le loro etichette con sorniona
cadenza europea. Sullo sfondo, il maxischermo che passa video dei Kiss e dei
Guns e mi fa riscoprire il mio amore per il rock della vecchia guardia.
La parte del leone la fanno le cantine toscane, che
presentano spigolosi Sangiovese: niente di più lontano dal gusto del Nuovo
Mondo, abituato alla maestosità sciropposa dello Shyraz. Più contestualizzata,
indubbiamente, la presenza degli amabili Lambruschi e dell’Oltrepò Pavese, ma
la vera regina della festa è Ritterhof.
La rinomata cantina di Termeno presenta il delicato Lenz,
divenuto ormai un classico dell’aperitivo altoatesino, grazie al suo bouquet
fruttato e fiorito e alla sua silhouette agile e giovane, sottolineata da un’etichetta
frivola e spiritosa, che si imprime nella mente: una sensazionale operazione di
marketing non smentita dall’assaggio.
In alternativa, il Gewurtztraminer
base, fedele interpretazione del Gewurtztraminer “comme il faut”: una soave esplosione
di rosa damascena, con un fondo speziato che lo rende interessante, senza l’invadenza
di molti analoghi altoatesini. Un vino di classe, ma beverino, che guida
spontaneamente verso i crostacei e il coquillage più raffinato.
Tra i rossi, domina il Jansen,
nobile Pinot Nero barricato: inconfondibile il profumo di frutti rossi, epurato
del tipico sentore “selvatico” di questo vitigno dal passaggio in barrique, che
lo ingentilisce con una nota carezzevole di vaniglia, che gli regala una
struttura corposa, insospettabile all’esame visivo.
Infine l’imperioso Merlot
Riserva, scuro, denso e profondo come la notte, con un’indimenticabile
attacco di frutti di bosco neri, irrobustiti dai tannini gallici del legno in
cui riposa per oltre un anno, che gli conferiscono una maestosità opulenta, ma
non intrattabile.
Come sempre, l’incontro con gli straordinari personaggi che
si muovono attorno alla favola del vino mi lascia leggermente ebbra, soprattutto
di soddisfazione e del sogno, un giorno, di farne parte anch’io.
5 commenti:
Serena che dire... speriamo che il tuo esame sia andato alla grande, ma ne sono certa!!! un abbraccione
vedrai che ce la farai! Un bacio
Dai dai, vedrai che è andata benissimo :-)
Idea originale l'abbinamento vino e cibi statunitense....se gli abbinamenti sisanno fare il vino e' sempre vincente...
Il mio sogno è trovare lo stampo adatto per i waffles, così da poterli fare io in casa! Non li trovi bellissimi, come forma? E inventare mille tipi di salsette e condimenti, come per i pancake, è un gioco che adoro! :-)
Posta un commento