Alla visita
al Pastificio, segue quella, di più profondo impatto emotivo, al Monastero di Montebello, un
antico santuario fondato da un nobiluomo pisano, datosi al romitaggio, che istituì
l’ordine dei Monaci Girolamini.
Gino Girolomoni, da sempre
affascinato dalla vista di quel rudere, nel corso di 40 anni lo ha riportato
agli antichi splendori, ristrutturandolo e facendone anche la propria dimora.
La Chiesa, di cui sopravvivono le
mura originarie, è stata restaurata nel tetto e nell’abside, dove, alle
consuete immagini sacre si sostiuiscono suggestive gigantografie scattate a Har
Karkom, nel deserto di Paran, identificato da Emmanuel Anati,
recatovisi nel corso di una spedizione alla ricerca di incisioni rupestri, come
il vero luogo dove Mosé ricevette le Tavole della Legge. L’altare è costituito
da un semplice masso, come nelle chiese paleocristiane.
Questa storia ci viene raccontata
dalla dolcissima Maria, figlia di Gino, che in questo posto è nata, ne ha
vissuto gli anni d’oro, vi ha sepolto entrambi i genitori e ne ha destinato una
parte all’ospitalità.
Non sono una persona molto
spirituale, meno che mai religiosa, ma è impossibile non sentire che l’aria è
satura di energia positiva e creatività e la vicenda dell’archeologo
anticonformista mi strega… certo, mai quanto evidentemente stregò Girolomoni, che prese persino parte in prima persona a un’esplorazione
archeologica, dando prova, una volta di più, del suo eclettismo.
Il grande salone che, un tempo,
faceva parte della casa familiare, rivela un altro aspetto del suo impegno
sociale: le pareti sono interamente tappezzate di manifesti che annunciano
rappresentazioni teatrali amatoriali ed altri eventi culturali a livello locale
organizzati nell’ottica di creare una trama comunitaria che non fosse retta
solo da un intreccio economico, ma anche relazionale, uno “spirito di corpo” a
tutto tondo che sottendesse ad ogni azione, ogni rapporto.
Nella stessa ottica ho letto la
raccolta di oggetti appartenenti alla civiltà contadina del passato, ospitata
nelle cantine: una collezione di moniti di come si viveva e si lavorava in
passato, strumenti che raccontano di fatica e ristrettezze, che potevano essere
affrontate solo facendo fronte comune, ma che, soprattutto, ricordano un tempo
in cui il rapporto con la terra e i suoi prodotti era intenso, carnale, sudato,
e non filtrato da pesticidi, OGM e altri intermediari chimici e insalubri.
Sebbene la nuvola di misticismo
che ci avviluppa sia densa e tornare con i piedi per terra non sia indolore,
per la prossima tappa le aspettative sono molto alte. Lasciamo, quindi, sia
pure a malincuore, quel luogo fuori dal tempo e riprendiamo il cammino, ancora
un po’ più ricchi e appagati.
2 commenti:
Sembra di essere li a fare una visita guidata.....
Decisamente questo blog diventa una lettura quotidiana. Ottimo articolo ancora una volta.
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