La Locanda Girolomoni,
oltre ad essere immersa in un contesto incantevole e gestita da persone
gentili, ha anche la fortuna di poter contare su uno chef di talento, Andrea
Marzoli: un curriculum di tutto rispetto e un
futuro ancora più radioso, grazie alla scelta di vita compiuta, che lo ha
portato a privilegiare i valori etici ed affettivi e a mettersi
alla prova in una cucina tutta sua, improntata della filosofia bio del contesto
e della vicinanza della sua adorabile famiglia.
Andrea ci attende tra fornelli,
macchinari per la cottura sottovuoto e abbattitori, per darci una prova della
sua destrezza, regalarci alcuni segreti del mestiere e gratificarci con un
tourbillon di assaggi delle sue sbalorditive creazioni, che prepara davanti a
noi, rispondendo, con infinita pazienza, alle nostre domande e coordinando gli
impiattamenti eseguiti a regola d’arte dal suo staff.
Il primo antipasto è una
contaminazione di cucina toscana, un crostone di cavolo nero, incoronato da una
sottile fetta di lardo; seguono una delicata spigola agli agrumi cotta
sottovuoto e affiancata da un ciuffo di trevigiano in agrodolce;
uno spaghetto aglio olio e peperoncino “col trucco”, che non condivido in questa sede, ma chissà, forse in un post successivo;
un ulteriore primo piatto, in cui la pasta fa da contorno a una singolare tartare di patate, insaporita da olive e tartufo fresco, grattugiato (meraviglia!) sotto i nostri occhi, e, per finire, una bizzarria: un gelato al pecorino e pepe nero, irrorato d’olio d’oliva e servito con una fetta di patata lessata utilizzando un particolare metodo, che mi riservo di illustrare, forse, in una prossima ricetta.
La spettacolarizzazione della
cucina, l’esubero di trasmissioni televisive a tema e l’ascesa di tanti
professionisti della gastronomia agli onori del palcoscenico hanno contribuito
a creare l’immagine dello chef burbero, borioso, spesso saccente e superbo. Le
eccezioni sono drammaticamente legate allo street food, al junk food e agli
errori di sintassi. La disponibilità di Andrea, il suo sorriso generoso, la sua
competenza e la prontezza con cui scioglie i nostri dubbi sfatano questo mito, svelando
il lato umano della categoria.
L’abbondanza del pranzo è indispensabile per tamponare gli
effetti della successiva visita alla Tenuta Santi Giacomo e Filippo, dove,
sullo sfondo dei dolci declivi che segnano i confini con la Romagna, si
coltivano varietà autoctone e internazionali, per dare vita a 6 grandi etichette,
tutte all’insegna del bio: alla volontà di mantenimento dei caratteri varietali
dei vitigni è legata, nella cantina, la prevalenza dell’acciaio, interrotta
solo da due grandi botti destinate all’affinamento e da due anfore, che tradiscono
certe velleità sperimentali dei coraggiosi enologi.
Degustiamo un gradevole Fogliola Bianco, Bianchello del
Metauro in purezza, fresco e profumato di fiori; il Bellantonio, incrocio Bruni, più strutturato del precedente bianco,
caratterizzato da una buona presenza di sentori terziari e da una maggiore
stratificazione gustativa, certo legata alla mineralità; il Fogliola Rosso, 100% Sangiovese Grosso (ebbene sì, la provincia di Pesaro vanta la presenza del
*vero* Sangiovese, quello toscano, a fronte della vicinanza con la Romagna) di
pronta beva, dai gradevoli profumi fruttati; infine un Fortercole, in cui il
Sangiovese è ingentilito da una piccola percentuale di Merlot, che gli regala note
di frutta compostata, un fondo empireumatico e una maggiore rotondità.
I due fiori all’occhiello della produzione, sono tuttavia,
secondo me, le due bollicine, due metodo Charmat assai ben fatti, un bianco e
un rosé, che non abbiamo testato in cantina, ma che, per tutta la durata del
soggiorno, hanno allietato i nostri aperitivi.
2 commenti:
Ma che bella questa tua esperienza, immagino ti abbia arricchito assai!
Un bacione
Adoro il tuo articolo, lo trovo molto ben scritto e strutturato e cambia perché non abbiamo spesso l'opportunità di vedere questo tipo di articolo.
voyance par mail gratuit
Posta un commento