Una foto in seppia, come i miei ritratti di quegli anni. Foto sbiadite, che immortalano una bambina dallo sguardo troppo intenso per essere quello di una bambina, un padre e una madre troppo belli per essere i suoi genitori e scorci di spiaggia luminosi di sole calabrese, resi tristi dal bianco e nero. Una foto patinata, impolverata dal tempo, come i miei ricordi d'infanzia.
Mi svegliavo la mattina presto, troppo presto per non intralciare le pulizie quotidiane con cui la zia di mia mamma lavava la sabbia e la polvere della spiaggia antistante, la salsedine del mare subito dopo e chissà cos'altro, di più difficile da mandar via. Venivo ricacciata in camera, dove attendevo con pazienza che il pavimento asciugasse. Facevo nuovamente capolino dopo un congruo lasso di tempo, quando il rumore proveniente dalle altre stanze non era più quello dell'acqua dello strofinaccio che ricadeva nel secchio, ma quello della scintilla del gas e, subito dopo, lo sfrigolio di qualcosa che friggeva nella padella.
Sì, perché al mare si friggeva. Si friggeva a pranzo e a cena, si friggeva per i pranzi con i parenti venuti da Catanzaro a trovarci, per i pic nic di Ferragosto e per i falò sulla spiaggia.
I genitori, per lo più residenti al nord da anni e laureati durante la bagarre del '68, portavano pantaloni a zampa e cantavano "Blowin' in the Wind", ma la frittura che accompagnava le chitarrate sulla spiaggia era irrinunciabile.
L'odore delle mie estati anni '80 non è quello della lozione Coppertone al cocco, ma delle melanzane fritte, della frittata di tonno e delle polpettine. Minuscole, laboriose polpettine panate, che, sommerse di olio, si doravano e andavano a fondersi con la scamorza, la sopprassata, l'uovo sodo, il pomodoro, per dare vita a uno dei piatti più ricchi e più attesi della stagione, quello del pranzo di Ferragosto: la pasta imbottita. Seguita da altre polpettine, più grandi, ancora fritte e ripassate nella salsa avanzata, e dalla pasticceria mignon di Scalamandré, che oggi non esiste più.
Al suo posto, una pasticceria altrettanto rinomata, dove però non conosco nessuno, come non conosco più nessuno su quella spiaggia dove, molti anni dopo, ho avuto il coraggio di tornare, riccacciando indietro le lacrime.
Ma la stella marina presa dal mio babbo e appesa al muro dell'enorme terrazza sul mare, in un'epoca in cui ancora non si parlava di rispetto per l'ambiente e biodiversità, quella c'è ancora. Ne godono altre famiglie, che si succedono nel corso dell'estate in quella casa dove si aggira ancora il fantasma della mia infanzia.
E vedendola dalla stradina lungomare, percorrendo la quale 30 anni fa ci insabbiavamo i sandali buoni, arrivando in centro con i piedi polverosi, e oggi elegantemente piastrellata, le lacrime sono uscite tutte.
La ricetta è quella della zia della mamma. Lei la preparava con la passata fatta in casa, con i pomodori delle terre dei parenti, la provolina dolce delle loro mucche e la soppressata dei loro maiali. Non so se sia la vera ricetta calabrese, forse manca qualcosa, forse qualcosa mi sfugge e qualcos'altro l'ha aggiunto la mia immaginazione troppo fervida. Ma se è sbagliata, vi prego, non ditelo alla zia: è permalosissima, di quella permalosità che il mio fiorentinissimo babbo rimprovera anche a me, chiamandola "la mia componente meridionale".
Ingredienti:
Procedimento:
Per prima cosa la zia preparava le polpettine: ammollava il pane con poca acqua, appena sufficiente a renderlo morbido. Quindi lo impastava con il macinato e un uovo e realizzava con questo composto tante minuscole polpettine. Qui ci vuole molta pazienza, perché devono essere davvero piccole, se non avete tempo lasciate perdere. Le passava nel pangrattato, poi scaldava l'olio (tanto olio) in una padella e le friggeva finché non diventavano scure.
Cuoceva la pasta, scolandola al dente e la condiva con il sugo di pomodoro. Aggiungeva le uova sode, schiacciate con le mani, la scamorza a dadini, la salsiccia a fettine e le polpettine, con tutto l'olio della frittura. Metteva tutto in una grande pirofila e cospargeva di origano e parmigiano. Non ne sono sicura, ma penso che aggiungesse anche altro olio, ma di nascosto, altrimenti la mia mamma si arrabbiava.
Pasava tutto in forno per una ventina di minuti o chissà, il tempo di far sbruciacchiare la pasta, insomma, che con i vecchi forni a gas succedeva quasi subito...